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Craft is Now!

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Craft is Now!

Nel 1919 Walter Gropius nel Manifesto della Bauhaus scriveva che non vi era alcuna differenza qualitativa tra l’artista e l’artigiano. Per quanto sia condivisibile, a 100 anni esatti da questa forte affermazione finalmente stiamo registrando un cambiamento di direzione nel mondo dell’arte e del design: una rinnovata attenzione viene data all’atto creativo in sé, scopriamo un crescente interesse nei materiali e nella capacità artistica di esprimerne le diverse sensibilità attraverso aspetti puramente tattili e sul potere creativo del fare a mano. Musei e gallerie a livello internazionale rispondono positivamente promuovendo mostre che abbracciano il craft e includendo artisti o opere in eventi più marcatamente etichettati come di arte contemporanea. Sia la Tate di Londra che il Centre Pompidou di Parigi ad esempio hanno recentemente curato mostre sui tessuti d’arte, presso fiere e biennali vediamo sempre in numero crescente opere di ceramisti o artisti del vetro. Eminenti figure storiche dei movimenti storici quali Lucy Rye, i protagonisti del Mingei giapponese riscuotono un crescente successo di mercato.

Naama Haneman, finalista del LOEWE Craft Prize 2020

In questo contesto si inserisce con forza il Loewe Craft Prize giunto ormai alla quarta edizione e promosso dal brand di pelletteria di lusso Loewe. Le opere dei finalisti dell’attuale e delle passate edizioni (alcuni dei quali esposti anche alla ESH Gallery) ci consentono di riscontrare se l’affermazione di Gropius, figlia della tradizione Arts & Crafts nata nell’Inghilterra di fine ‘800, e forse mai presa veramente in considerazione dal mondo della critica d’arte stia oggi finalmente avvicinandosi alla realtà. È importante però fare il punto su cosa significhi fare artigianato artistico e quale considerazione debba questo inesplorato ramo della categorizzazione artistica ottenere nel consolidato mondo del mercato dell’arte contemporanea.

Il primo problema è mettersi d’accordo sulla terminologia. Non è facile dare una definizione universalmente accettabile anche perché è l’esperienza storica ad indicare le sfumature che questo termine inevitabilmente mantiene. Scrive Ugo La Pietra architetto, designer e studioso di arti decorative:

“La gente comune conosce l’artigianato artistico attraverso i mercatini e le fiere di strada. È un artigiano, questo, spesso carico e ridondante, che fa mostra di qualcosa che da sempre la cultura ufficiale chiama “kitsch” (o semplicemente di cattivo gusto), salvo poche eccezioni. C’è anche l’artigiano più colto, quello che ripercorre gli stili e i modelli del passato[…]. Da questo ambito si sono sempre distinti gli artigiani artisti capaci di rinnovare il linguaggio definendo così quello che, per intenderci, chiamiamo “Artigianato Artistico d’Eccellenza”, fatto spesso di singoli autori in grado di esprimersi attraverso un linguaggio contemporaneo, prendendo comunque le distanze dal mondo dell’arte.”

Se per La Pietra l’esperienza descritta è prettamente italiana, in ambito internazionale (americano ed europeo) invece il termine craft oggi fa riferimento a un gruppo di pratiche o abilità nel campo della ceramica, vetro, metallo, tessuto e legno in cui la stessa critica contemporanea ha sottolineato l’abilità dell’autore celebrandone le sue capacità tecniche.

La critica anglofona inoltre teorizza due principi basilari del craft contemporaneo nel fare un oggetto rimosso dal necessario (l’aspetto funzionale) e nel suo essere una risposta collettiva ai processi di industrializzazione.

Il corrispondente termine giapponese kogei è forse il più idoneo ad indicare lo status del settore oggi. Kogei indica una forma d’arte autonoma – e sottolineo d’arte – che armonizza forma e funzione, portando la bellezza negli oggetti della quotidianità attraverso l’uso di ceramica, lacca, tessuti e altri materiali. Sostiene Misato Fudo, curatrice del Museo d’Arte Contemporanea del 21° Secolo di Kanazawa:

“Se l’arte contemporanea si focalizza sul concetto, l’artista kogei pone l’enfasi sul controllo del materiale attraverso la propria abilità in grado di esaltarne le caratteristiche al fine di mostrarne un’idea. Kogei inizia col materiale. E probabilmente la bellezza nel centrare il perfetto equilibrio tra conformare la natura di un materiale e esplorare le sue qualità che incanta l’Occidente del ventunesimo secolo.”

Ma come giudicare un oggetto e coglierne le sue caratteristiche al fine di considerarlo una vera e propria opera d’arte?

L’opera d’arte viene definita tale nel momento in cui un’idea, un concetto o un tema viene trasferito dall’artista grazie ad un linguaggio espressivo proprio e attraverso un percorso di ricerca – spesso lungo e tortuoso – in una realizzazione che ci consente di coglierne taluni aspetti al fine di ingaggiare un dialogo, anche immaginario, con l’artista. Se aggiungiamo originalità e creatività- valori intrinseci del fare artistico nel senso più ampio del termine – l’opera artigianale, come ampiamente espresso da Alberto Cavalli, deve esprimere un set aggiuntivo di valori.[1]  In primis l’artigianalità contemporanea intesa come “dialogo costante tra materia e azione, tra progetto e la sua perfetta traduzione in un prodotto eccellente. […] le lavorazioni vengano svolte prevalentemente con tecniche manuali, ad alto livello tecnico professionale”. Non c’è spazio per l’improvvisazione. Si richiede anche all’artista/artigiano/maker di innovare. Ciò implica modificare qualcosa di preesistente (la tradizione) ed aggiungere elementi di novità. Se poi riuscissimo a scorgere un elemento di territorialità, questa rappresenterebbe un’ulteriore chiave interpretativa per far affiorare una particolare tradizione estetica e storico-artistica di quella regione nazione o territorio.

 

 

[1] Alberto Cavalli, Il valore del mestiere. Elementi per una valutazione dell’eccellenza artigiana. 2014, Marsilio